Storie di un ex, Zvonimir Boban: spada e fioretto

Dicono che a far scoppiare la guerra nei balcani, negli anni Novanta, sia stato proprio lui. A ben vedere, la solita gigantografia mediatica. Zvonimir Boban, per tutti “Zorro”, era in campo in quel maggio del 1990 quando allo stadio “Maksmir” dovevano affrontarsi Dinamo Zagabria e Stella Rossa. Fu un match che non si giocò mai, perché ribolliva la rivolta che angustiava serbi e croati e di cui il calcio era, ed è stato per molto tempo, l’espressione più metaforica possibile. Quel giorno furono botte da orbi e anche il nostro partecipò: quando la polizia entrò in campo, sferrò un bel calcione sotto gli occhi delle telecamere, a un agente in tenuta anti-sommossa. Un gesto che gli valse una squalifica di sei mesi e l’addio ai Mondiali italiani delle “notti magiche” con la maglia della Jugoslavia.

Zvone non è tutto qui, ovviamente. E’ stata un’altra perla della collana di fuoriclasse passati da Milanello e sul finire della sua epoca milanista ha praticamente vinto uno scudetto orchestrando in modo magistrale chi aveva intorno. Quarantacinque gol in sei anni con la Dinamo gli valgono l’acquisto del Milan, con Berlusconi sempre debole se si trattava di uomini che giocavano in punta di fioretto, che però lo gira subito in prestito al Bari, per farlo abituare all’aria di serie A. Diciassette presenze e due reti, poi un’indigestione. Nel vero senso della parola: si ammala di epatite A dopo aver assaggiato del pesce crudo, e va ko. Sarà per questo che ritornerà a Milano, o forse perché San Siro cercava nuovi interpreti del proprio prestigioso copione. Vince subito due scudetti consecutivi e la mostruosa Coppa dei Campioni greca, quella di Atene contro il Barcellona. Nella stagione ’94-’95 segna invece a Parigi all’ultimo minuto il gol che ipoteca un’altra finale di Coppa dei Campioni, quella persa con l’Ajax.

Centrocampista nei quattro di Capello o trequartista, Boban si mantiene sempre ad alti livelli, rivincendo un altro scudetto nel 1996 e resistendo alla bufera del biennio 1996-1998 in cui il Milan degli invincibili viene giù come un palazzo di dieci piani ponendo fine a un’epoca. Ecco però il grande riscatto: dopo aver più o meno sonnecchiato tutta la stagione, anche perché il gioco del suo nuovo allenatore, Zaccheroni, gli era proprio inviso (“solo lanci lunghi, come si fa? Il gioco di Zaccheroni era davvero inguardabile” avrà modo di dire molti anni dopo), ecco l’intuizione: lo spogliatoio, di concerto con l’allenatore, lo sposta dietro le punte. Boban-Bierhoff-Weah: con il gioco di fioretto ma anche di spada del croato, la testa del tedesco e l’imponenza scanzonata del liberiano, arriva il sedicesimo scudetto. Un trio multi-culturale che nelle ultime 7 partite non sbaglia un colpo e sorpassa la Lazio alla penultima giornata, vincendo poi a Perugia. Boban saluta tutti nel 2001 e a San Siro ecco il passaggio di consegne con chi eredita il suo numero e il suo ruolo, un certo Rui Costa. Va al Celta Vigo, in Spagna, fa più vacanze che altro e a ottobre lascia. Su Sky abbiamo tutti apprezzato la sua capacità di andare controcorrente e di dire sempre le cose come stanno; ora, insieme a Van Basten, è stato voluto dal neo presidente FIFA Infantino come vice segretario generale. Ma “Zorro” è tutto in una uscita malinconica proprio da opinionista, quando gli fecero osservare che il Milan poteva puntare al terzo posto: “Ai miei tempi questi discorsi non si facevano… si iniziava la stagione per vincere il campionato e la Champions League”. Scuoteva la testa sconsolato, Zvone… e noi con lui.

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