Prima o poi qualcuno dovrà rispondere sulla Cina: l’opinione

Qualcuno, tardi o presto, fornirà delle spiegazioni su come l’area commerciale e marketing abbia lavorato sul fronte asiatico dall’aprile 2017 ad oggi. Già, perché, a differenza di quanto sostenuto dall’attuale management del Milan, uno dei punti di rottura con l’Uefa è stato proprio quello relativo ai presunti ricavi dalla Cina. Non c’è da sorprendersi dunque se oggi il quotidiano La Repubblica è tornato a focalizzare l’attenzione sulla Red&Black, la società veicolo del marketing rossonero in Asia, fondata nell’ottobre scorso, sei mesi dopo l’inizio dell’era di Yonghong Li, ma dopo l’ottimistico piano economico-finanziario presentato all’Uefa per chiedere il voluntary agreement.

Ci sarebbe addirittura una divergenza sulle cifre del capitale sociale versate: 35.000 euro secondo la versione inglese, 350.000 per quella cinese. Anche l’accordo sbandierato appena due mesi fa con il club del Guizhou Hengfeng non avrebbe alcun timbro di autorità competenti come la Camera di Commercio locale, insomma nulla. Anche se quanto rivelato oggi da Repubblica non rispecchiasse la realtà dei fatti, restano in sospeso alcune domande, le stesse che probabilmente il Tas riformulerà dopodomani in sede di udienza di ricorso contro la decisione dell’Uefa di estromettere il Milan dall’Europa League.

E’ ormai chiaro, infatti, che se l’unico problema finanziario fosse stato lo sforamento dei parametri del fair play nel triennio 2014-2017, si sarebbe arrivati ad una conciliazione. La questione, ben più complessa, della credibilità dell’ormai vecchia proprietà è stato il fulcro della dura presa di posizione del massimo organismo del calcio europeo. Basterà Elliott per dipanare le nubi? Difficile oggi formulare una scommessa sull’esito finale, anche perché, storicamente, l’Uefa non ha mai visto di buon occhio proprietà di club (o di cartellini di giocatori) in mano a fondi d’investimento.

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