7 anni fa finiva l’ultimo ciclo. Ad Elliott la missione di aprire il nuovo

Nemmeno il più pessimista dei tifosi rossoneri avrebbe immaginato 7 anni di (quasi) nulla cosmico. Oggi – e lo diciamo con la morte nel cuore – quel Milan non esiste più. Solo una Supercoppa Italiana alzata nel 2016, troppo poco per una squadra dal blasone del Milan. Se c’è una data che può sancire la “fine sportiva” del Diavolo si può individuare proprio nel 13 maggio 2012. Ad onor del vero, la conclusione dell’ultimo ciclo berlusconiano è stata postdatata alla cessione ai cinesi, trascinando il cadavere rossonero per i successivi agonizzanti anni.

L’ULTIMO CICLO- Il tifoso rossonero rimarrà sempre colpito dal viso rotto dal pianto di Gianluca Zambrotta, pochi anni in rossonero, ma utili per lasciare il segno nel cuore dei milanisti. A cui hanno fatto seguito le lacrime di Van Bommel, lui solo un anno e mezzo in rossonero. Perché il Milan era una grande famiglia, coesa, un ambiente speciale, un’isola felice, lontano ricordo di quella attuale, purtroppo dominata dagli eccessivi dissidi societari e nel gruppo. “Grazie di cuore” recitava lo striscione della Sud e lo stadio all’unisono si inchinava agli eroi di mille battaglie. Dei 4 senatori al passo d’addio (Gattuso, Inzaghi, Seedorf e Nesta) ben 3 sono stati richiamati in panchina, ma con scarsi successi, non per colpa loro. Nessuno di loro è riuscito ad aprire un nuovo ciclo, quello che il Milan stenta a compiere. Chi rimproverava un ricambio così radicale oggi rivendica le proprie ragioni, ma probabilmente sarebbe cambiato poco. Il rinnovamento non sarebbe comunque avvenuto. Al posto dei senatori, quell’estate arrivarono un giovane Acerbi, a centrocampo Montolivo, Muntari e De Jong, in attacco l’eredità di SuperPippo spettò a Pazzini, il primo “colpito” dalla maledizione del 9. Se poi aggiungiamo anche le partenze di Thiago Silva e Ibrahimovic, ecco che la ricostruzione diventa un Everest da scalare.

L’EREDITA’ DEI SENATORI- Il Milan è cambiato, ma non solo dentro il campo. Gattuso stesso ha ricordato recentemente l’antifona:”La salvezza del Milan in quegli anni è stata il rispetto delle regole, in pochi anni è dovuto intervenire Galliani. Eravamo noi ad andare in sede per farlo intervenire, rispettavamo la storia: oggi si fa più fatica. La mentalità dei giocatori è cambiata“. Un concetto ripreso qualche anno prima anche da Abbiati. Entrambi a più riprese hanno evidenziato come a Milanello si sentivano degli estranei negli ultimi anni. Man a mano che lo spogliatoio è stato “smontato” sono venute a mancare quelle colonne portanti, dotate di carisma e personalità illustri, che fungevano da esempio per i nuovi arrivati. La disciplina, il rispetto delle regole, l’attaccamento alla maglia sono venuti a mancare e questo ha inciso anche sul rendimento sportivo della squadra.

LA MISSIONE DI ELLIOTT- Dopo svariati tentavi a vuoto, toccherà al fondo Elliott pianificare il nuovo ciclo tra qualche settimana. Molti ancora sono i nodi da sciogliere: entrare o non in Champions League fa tutta la differenza del mondo tra una nuova stagione di ricostruzione e una possibilmente da protagonisti, anche in termini di investimenti. Il nodo da sciogliere coinvolge anche la guida tecnica: in caso di quarto posto Rino Gattuso potrebbe clamorosamente restare in sella al suo Milan, considerata la scarsità di alternative. Tuttavia, chiudendo un occhio su qualche passo falso commesso nella prima stagione da subentrato, la prossima sarà la prima vera stagione di Elliott. Legittimo puntare sulla linea verde, ma la crescita dei giovani deve essere accompagnata dall’esperienza: un fattore assente nel Milan di oggi. L’anniversario odierno serva da lezione: quanto farebbe comodo avere ancora qualche senatore, in campo e nello spogliatoio. Programmazione, competenza e mentalità vincente sono le parole d’ordine. Perché il Milan ha bisogno di aprire un nuovo ciclo.

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