Tre verità sul Milan, su Elliott e sul Qatar

Il Milan, Elliott ed il Qatar. Un triangolo che ha scoperto notorietà nella giornata di oggi, riscuotendo ampia visibilità. Ancor di più delle avanzate trattative per Bennacer e Veretout. Già: la notizia di un possibile interesse dalla terra qatariota per i rossoneri ha fatto drizzare – e non poco – le antenne di tutti, dai tifosi agli addetti ai lavori. E da qui, peraltro, nascono tre principali verità attorno a quella che, senza dubbio, è la news del giorno (settimana?).

I: Elliot (e Gazidis), questione di progetto

In primo luogo, in molti vedrebbero di buonissimo grado (eufemismo) l’addio di Elliott e Gazidis. Complice l’austerity annunciata e messa in atto (o meglio, la spesa intelligente e centellinata, ndr), il livello di popolarità della proprietà e dell’AD non sono di certo ai massimi storici. Così come quello della fiducia nei loro confronti. Molti dei pareri negativi, tuttavia, sono influenzati da una visione eccessivamente a breve termine. Il fondo USA ed il dirigente ex Arsenal, a differenza delle ultime gestioni, stanno lavorando concretamente a livello progettuale.

Ne sono esempi concreti il lavoro sul nuovo stadio – che piaccia o meno l’idea di abbandonare San Siro – la rinuncia, dolorosa ma necessaria, all’Europa League e anche la stessa campagna acquisti. Stop ai nomi esotici e di urlo (Bonucci, Higuain, ecc) , tagli agli ingaggi d’oro (Montolivo) e dentro giovani che potrebbero fruttare plusvalenze (Krunic, Hernandez, lo stesso Bennacer). Oggi, signori, il calcio europeo impone questo tipo di plan, specie se c’è da risanare un club in rosso per oltre 100 milioni.

II: quanto sarebbe utile il Qatar?

Collegato al punto uno, c’è il seguente. Sì, i soldi qatarioti – se rapportati agli esempi di PSG e Manchester City – fanno molta, moltissima gola. Ma, probabilmente, per il rischierebbero anche di essere clamorosamente inutili per il Milan.

Quello rossonero, infatti, resta un club estremamente tenuto sotto controllo da Nyon, nonostante una situazione ormai decisamente più distesa. La tranquillità ritrovata con la UEFA, però, non significa esserne usciti dai radar: i vertici di Via Aldo Rossi sanno perfettamente che nuove magagne, qualora non venissero rispettati determinati paletti, sarebbero dietro l’angolo.

E, allora, a cosa servirebbe, al momento attuale, una proprietà con infinite (o quasi) disponibilità economiche ma con strettissimo margine di manovra (e di spesa)? A poco, decisamente. A meno di non tentare giochi di prestigio come fatto dai sopracitati club esteri. Che, comunque, in un modo o nell’altro, sono stati beccati…

III: cos’è meglio per il Milan

Tornando al punto di partenza, dopo aver costruito due ragionamenti su Elliott e sul Qatar, come si può tracciare una conclusione? Semplice: non si può.

Non si può nè bollare il lavoro che Elliott (e Gazidis) stanno faticosamente portando avanti. E nemmeno, al netto delle perplessità, rifiutare categoricamente qualsiasi possibile corteggiamento asiatico. Serve, allora, una via di mezzo, mantenendosi aperti ad ogni occasione e possibilità.

In primis, bisogna dare fiducia al lavoro che il fondo americano sta portando avanti: il Milan, prima di qualsivoglia cambio di proprietà, deve ritrovarsi a livello economico. Evitando di dover essere costretto ad auto-escludersi da una competizione europea, per iniziare. Poi, solo poi, ben vengano investitori facoltosi e pronti ad investire. Senza bypassare, ovviamente, la ritrovata progettazione: stiamo vedendo, sulla pelle rossonera, cosa comporta il contrario.

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