O muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo. Tant’è: dopo un derby di Coppa Italia tumultuoso, ricco di emozioni, pregno di riflessioni a livello tecnico-tattico, l’attenzione si è fossilizzata sulla lite furiosa tra il Pelide Ibra e lo “sventurato” – a detta dei più – Lukaku. Andiamo con ordine.
LA NASCITA DEL MITO
Zlatan Ibrahimovic non ha bisogno di presentazioni. A livello calcistico è uno dei migliori interpreti che la storia abbia mai conosciuto. Fortunatamente i numeri di Ibra dicono tanto ma, come spesso accade, non tutto. Dietro quel volto ruvido, levigato dal talento, si nascondono un bambino, prima, e un uomo, poi, che nella propria esistenza ne hanno viste di tutti i colori. Il nativo di Malmo è uno che nella vita si è formato da solo, che ha visto i propri sogni realizzarsi grazie al sudore di “chi ci ha sempre creduto”. Tanto basterebbe per dire “chapeau” ad uno che ce l’ha fatta, che è arrivato. Eppure Ibra è Ibra. E tanto basta per essere inviso a molti, ai più. C’è un sottilissimo equilibrio, impercettibile all’animo umano, tra chi esprime opinioni e chi deve farlo. Zlatan è così: si sente ineluttabile, osa, gioca ad un tavolo dove solo i coraggiosi possono sedersi. E Zlatan non conosce misure: bianco o nero, rischi o ti alzi dal tavolo.
Questo pezzo non vuole essere un encomio al fenomeno svedese. Si sbaglia, ci si scusa, si va avanti. Funziona così, almeno pare. Tranne per Ibra. Perchè lui è nato nelle fiamme più oscure, è stato forgiato da un sentimento che nessuno potrà mai capire. Comprendere. Nel silenzio delle notti, al chiaro di luna, implodeva la marea di Ibrahimovic. Quel 40enne – “il vecchietto finito”, gennaio 2019 – capace di portare il Milan sempre più in alto. Capace di domare un uomo con uno sguardo: e in quei due occhi il travagliato passato; e il destino che si avvinghia al bambino di Malmo che ce l’ha fatta. L’uomo capace di far sognare chiunque con la forza delle sue gesta. Ma questa è un’altra storia. Voltiamo pagina.
DERBY, LUKAKU E LA NOVELLA DEL GIGANTE BUONO
Minuto 43 di un derby gradevole, ben giocato da due ottime squadre. Milan avanti 1-0, grazie alla giocata magnifica di Ibra. Romagnoli dà una spallata a Lukaku: l’ex ManUtd si alza e reagisce. Screzi con il capitano rossonero e Alexis Saelemaekers. Poi arriva Zlatan, il leader del diavolo. Ed è inferno sul prato verde: i due, mai in rapporti idilliaci, se ne dicono di tutti i colori. Valeri, dal canto suo, decide di ammonire entrambi. Gli animi implacabili dei due emblemi della Milano calcistica non si fermano e proseguono durante l’intervallo. Iniziano a girare notizie di qualsiasi tipologia – che non starò qui a raccontare. La sentenza è presto emessa: Ibra carnefice, Lukaku vittima. Proprio lui, Ibra, sempre lui, “il cattivo” Zlatan. Una storia vecchia. Il mondo dei social, tuttavia, impazza: il “gigante buono” è solo l’ennesima vittima del fenomeno rossonero. Tra un “escludiamo Ibra da Sanremo“, “Ibra razzista“, “Lukaku non si arrabbia mai, cosa avrà detto Ibra?”, non esistono certezze. Nessuno può averle. Conte ha detto una cosa sacrosanta: esistono vicende di campo e tali devono rimanere. Con buona pace di tutti. Non è un mondo di e per “Santi”, nonostante si voglia far passare, a tutti i costi, sempre lo stesso messaggio, che condanna il diverso, che tutto sia già scritto nel meraviglioso mondo “2.0”. Gli altri – i “santi” -giudicano, inveiscono dall’alto delle loro cariche. Emettono sentenze: “Lukaku non avrebbe mai fatto una cosa del genere“. E così sia. E così loro appassiscano, anche, di rabbia dinnanzi alla magnificenza del 40enne finito. È una legge di natura, ci si può fare poco.
Al di là di qualsiasi discorso – e se ne possono fare molteplici – chi scrive pensa una cosa di Zlatan Ibrahimovic: bisognerebbe ringraziare il cielo, perchè ha regalato al mondo del calcio un talento purissimo, un eroe del pallone, un bambino che è riuscito a realizzare un sogno più grande del sogno stesso. E continua a farlo, a dimostrarlo: a 40 anni si può fare ancora la differenza. Si può superare il limite, si può migliorare. Ci si può e ci si deve mettere in gioco, sempre. E a uomini come Ibrahimovic non interessa il sottile filo del non equilibrio tra il perbenismo estremista e la follia che ne deriva ogni giorno. Esistono uomini nati per scrivere pagine indimenticabili, che il vento della storia può solo girare. E Ibra non sarà mai solo un eroe o un immortale. Lasciate che il fervido vento soffi sulle pagine di questo artista. Badate bene: e si impari a leggere.
Francesco Antonio Ricciardi