Pacchi di milioni per milioni di pacchi: il Milan e una figuraccia mondiale

Partiamo da un presupposto. Vedere il Milan di questi tempi è pura agonia. Perché sai che alla fine perderà. In un modo o nell’altro perderà. Sabato lo strazio è stato certificato. E pure documentato al mondo intero. Ci vedeva più o meno mezzo miliardo di persone in giro per il pianeta. Una figuraccia mondiale insomma. Chissà, a match finito, cosa avrà pensato chi non è abituato a seguirci. Un tedesco qualsiasi. Un francese. Un turco. O chiunque altro. In italiano: “Ma come? Loro sono tipo il Manchester City… hanno speso 200 milioni e passa”. Poi, magari, avranno dato un occhio alla classifica. Così, giusto per sfizio. E allora, immagino, un sorrisino di pietà. Poveri noi.

Identificare delle cause precise per un disastro conclamato e sciaguratamente attuale è pressoché impossibile. O quantomeno complesso. Dannatamente complesso. Proprio perché il fatto che una squadra fabbricata a tonnellate di milioni abbia perso cinque match su undici non ha granché senso. Di per sé è illogico. Ma vabbè.

PAPA’, COME SI FA A VINCERE?

E’ innegabile che dei miglioramenti ci siano stati. Che ieri non si siano visti è un altro conto. Effettivamente non ce n’era traccia. Ma si sfidava pur sempre la seconda squadra più forte d’Europa. Da settembre ad oggi, però, qualcosa a livello di costruzione è cambiato: la squadra gioca meglio. A sprazzi, ma gioca meglio. Quello settembrile era un Milan vincente ma bruttissimo da vedere. Direte: “Ma almeno vinceva”. Certo ma giocava con squadre che oggi si giocano la pellaccia per restare in Serie A. Poi, Samp esclusa, il livello si è alzato e il Milan ha iniziato a migliorare. Peccato si sia scordato di vincere. E anzi: ha imparato a perdere.

DIAVOLO DI PROBLEMI

Questo Diavolo ha tre diavolo di problemi: non segna, è lento, non regge psicologicamente. Tradotto: non concretizza, non velocizza, i singoli non hanno tenuta mentale. Per questo Montella ha responsabilità meramente parziali. Se contasse solo l’allenatore, del resto, sarebbero gli allenatori a valere vagonate di milioni. E invece no. Un allenatore può dare un’impostazione tattica, qualche correzione tecnica e un approccio mentale. Ma se trattasi di fare gol o di restare lucidi quando conta, che in panca segga Ferguson, Guardiola o Montella cambia poco. Allo stesso modo un allenatore non è certamente in grado di fare veloce chi non è veloce.

TORTA DELLE RESPONSABILITA’

Ecco allora che una bella porzione della torta delle responsabilità va spartita fra giocatori e società. Con una fetta più corpulenta alla società. Che quei giocatori li ha comprati. Le cose formali prevedevano una spina dorsale perfettamente definita: Bonucci-Biglia-Kalinic. Evidentemente non sono all’altezza. O, quand’anche lo fossero, sono piuttosto in ritardo. E rischiano di far capitolare anzitempo una rosa costruita su di loro. Ieri i nodi sono venuti al pettine. Ancora una volta. Bonucci, il capitano, nemmeno c’era: Bonucci, il capitano, ha deciso un paio di giornate fa di farsi improvvisamente cacciare. Saltando tre match clou in un periodo terribilmente critico. Biglia ha fatto girare a rilento una squadra che di per sé gira pure. Kalinic ha fatto tutto fuorché quello che doveva fare: gol. Degli altri, che dire, Calha e Kessié  erano scommesse. Scommesse pagate con invidiabile generosità di verdoni, sì. Ma pur sempre giovani su cui era lecito puntare. Essenzialmente scommesse miseramente fallite. Brutalmente: pacchi di milioni per milioni di pacchi. Dio del calcio aiutaci. Se esisti.

 

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